Pantomima de U Pisci a Mari
Andrea - CC2.0
La pantomima de "u pisci a mari" è una tradizione popolare di Acitrezza che risale alla prima metà del XVIII secolo.
La pantomima “U pisci a mari” é una tradizione popolare trezzota che risale al 1750, anno dell’inaugurazione della statua lignea del Santo Patrono di Acitrezza, San Giovanni Battista.
Tale pantomima é un rito propiziatorio, parodia della pesca del pesce spada che si svolgeva anticamente nello stretto di Messina, dove un marinaio da un’alta antenna (il “rais”) piantata in mezzo ad una barca, scrutava il mare in attesa che un pesce spada passasse per lo stretto; in un’altra barca a lancia più piccola quattro marinai attendevano pronti mani ai remi, e quando il grido della vedetta annunciava la comparsa del pesce essi vogavano con tutta forza: il “rais” li incitava in dialetto affinché il pesce venisse fiocinato furiosamente.
Il pesce così ferito dapprima si inabissava, ma ben presto moriva e veniva tirato su rosseggiante fra le grida festose dei pescatori. Il capo rais che sta all’antenna mandava benedizioni se il colpo andava a segno, maledizioni o imprecazioni se il colpo falliva.
La pesca del pesce spada rappresenta la continua lotta ingaggiata con la natura, per sopravvivere in una terra che come pane ha il pesce.
La pantomima messa in scena ad Acitrezza é precisamente questa scena che vuole rappresentare, ma come per l'opera dei pupi, l’azione assume un che di comico, di folkloristico ed esagerato.
Tale pantomima, rito propiziatorio, parodia della pesca del pesce spada, viene riproposta ogni anno, in occasione della festa del Patrono San Giovanni Battista.
La barca, addobbata con fiori e nastri rossi e gialli, viene calata in mare da tre pescatori. Alcuni pescatori rimangono sul molo per seguire le fasi della pesca. Il “rais”, che sta sul molo, é colui che grida e dirige la pesca urlando tradizionali frasi in dialetto, muovendo, con fare minaccioso, una canna di foglie fresche sulla mano destra ed un ombrello sulla sinistra.
Il pesce, nella prima parte rappresentato da un esperto nuotatore che furtivamente si immerge nello specchio di acqua teatro della pantomima, nascondendosi tra le numerose imbarcazioni colme di gente che osserva più da vicino l’avvenimento e urla verso i protagonisti incitandoli. Il “rais”, dall’alto di uno scoglio, avvista l’uomo-pesce e lancia segnali, urla le frasi in gergo antico e incita i marinai a catturarlo. E quindi, dopo vari tentativi, il pesce viene preso e levato a bordo tra gli applausi del pubblico e il suono festoso della banda assiepata sul molo, ma prontamente il pesce riesce a fuggire dalle mani dei pescatori già pronti a tagliarlo a fette.
I pescatori dunque imprecano contro la mala sorte ed il “rais” disperato si getta in acqua in maniera goffa. L’inseguimento del pesce continua, ed inizia così la vera lotta con la preda che viene nuovamente infilzata, ferita e catturata, e con il mare che si tinge del suo sangue rosso.
Due pescatori che si trovano sulla barca tengono saldamente l’uomo-pesce per le braccia e le gambe e, mentre minacciano di squartarlo con una grande mannaia, questo si agita ormai conscio del suo destino. Ma dopo essersi dimenato a lungo, riesce a scappare nuovamente gettando nello sconforto i pescatori.
Alla fine, con la forza della disperazione i pescatori continuano a vogare, con il “rais” che avvista nuovamente la preda, che questa volta é un pesce vero, un tonno o un pescecane immerso precedentemente nelle acque del molo, che finalmente viene catturata e viene affettata.
Quando i teatranti, che sono tutti pescatori di Aci Trezza, urlano la bontà delle carni, con la gente che applaude ed il corpo bandistico che suona incessantemente a festa, per il pesce sembra davvero finita. Ma a pochi metri dall’approdo fugge definitivamente, scomparendo tra i flutti.
Gli spettatori gridano, il “rais” impreca e si getta in mare, ed alla fine i pescatori in preda allo sconforto capovolgono la barca, tra il susseguirsi dei tuffi da parte dei giovani spettatori nel mare scintillante, che sotto un sole d’estate chiudono l’avvenimento ancora una volta onorato, ovvero l’ennesima rappresentazione della continua lotta dell’uomo per sopravvivere in questi luoghi.